2.

Alberto Carlo si trova in un locale difficile da descrivere e da definire.

Il termine corretto potrebbe essere: sala di intrattenimento multifunzionale. Nel corpo centrale capeggia un bancone circolare da bar in vetro sui cui ripiani interni dà bella mostra di sé una ampia gamma di spuntini appetitosi, ordinati dal salato al dolce e già accompagnati da infusi e drink appropriati.

Intorno a questo corpo si sviluppano vari ambienti.

Una scritta, posta sul lato destro dell’ingresso, ne enuncia la specificità. Uno è dedicato ai libri, uno alle riviste, uno ai quotidiani, uno ai collegamenti in rete via Internet, uno ai programmi televisivi, uno alle mostre di pittura o scultura e l’ultimo, infine, alle rappresentazioni dal vivo di vario genere, dotato di palco e platea.

Il posto è di quelli dove si trascorrono volentieri varie ore. Tutti gli ambienti sono frequentati; in particolare, quello dedicato alle mostre, è strapieno.

Incuriosito dalla folla, senza esitare, si dirige in quella direzione. E’ in corso, evidentemente, il vernissage di una mostra fotografica.

Un primo colpo d’occhio rende evidente che non è una mostra tradizionale; nonostante si sforzi, non riesce proprio a capire cosa le foto rappresentino.

"Ciao, Alberto Carlo, sono felice di rivederti. Vedo che non hai saputo resistere all’invito." Con voce squillante e con la solita pacca sulla spalla è Lara che lo raggiunge da dietro.

Erano quasi due anni che non aveva più notizie di Lara Barecandi, fotografa, pittrice ed, a tempo perso, docente di arredamento all’università.

Alberto Carlo, sorpreso e del tutto ignaro dell’avvenimento, lancia un:

"Non sarei potuto mancare"

"Va bene. Visto che sei venuto, ti scuso di tutto il tempo che non ti sei fatto sentire. Ma ora, dimmi che ne pensi della mia mostra?"

"Ecco…sono appena arrivato; forse è meglio che mi racconti, mi spieghi come è nata . Sono sicuro che le tue parole mi aiuteranno a capire e ad apprezzare di più le tue opere."

"L’invito non l’hai letto, eh? Non si sa perché perda tempo a scrivere le cose. Ma, dimmi, le mie foto ti piacciono o no?"

"L’effetto è bello, ma non riesco a capire cosa rappresentino: eppure sono foto, cose reali, non quadri astratti."

"Se, come dici tu, l’effetto è bello il risultato principale è raggiunto. Una cosa bella fa piacere guardarla ed anche possederla: è quindi probabile che io riesca a venderla. Mi sembra, però, che tu ti aspetti da me qualcosa di più strutturato, di più concettuale.

Ti accontento subito.

Dovunque tu rivolga lo sguardo, l’immagine inquadrata ha un primo piano ed uno sfondo: tu metti a fuoco qualcosa, che ti interessa, in mezzo ad altre del campo visivo. Questo potrebbe essere tutto."

"E’ meglio che continui."

"Puoi mettere a fuoco tutto quello che vedi; puoi invece mettere a fuoco solo il primo piano, solo lo sfondo o più l’uno dell’altro, a seconda dell’importanza che gli vuoi dare. Se pensi alla pittura figurativa puoi ben comprendere questo. Il Rinascimento italiano, ad esempio, ci fornisce un’infinità di esempi, sacri ed anche profani, di messa a fuoco. Le madonne del Bellini, le opere del Ghirlandaio, il San Sebastiano del Carpaccio, come prime opere che mi vengono alla mente, hanno in primo piano il tema commissionato, quello che deve apparire, ma non trascurano lo sfondo, che è pieno di rappresentazioni naturali, scene pastorali ed anche ricche rappresentazioni della vita quotidiana del tempo. Anzi, proprio perché così ben curate, sono sicuramente quelle che più hanno interessato l’artista."

"Veniamo ad oggi."

"Sono sufficienti due esempi. Guernica di Picasso: è tutto primo piano. Tralascia le modalità espressive; è un’immagine definita, che si impone ai tuoi occhi, che è altro da te, di fronte a te. Lo sfondo non esiste. Prendi, come esempio opposto, una qualsiasi opera informale; una di quelle tutte macchie di colore per intendersi. L’immagine è voluta e costruita quasi per perdersi in essa, per entrarci dentro, perché tu diventi e ti senta parte di quell’ambiente. E’ tutto sfondo. Tra l’essere altro da te e lo sforzo di comunione, cioè tra il primo piano e lo sfondo, c’è tutta l’infinita sequenza di quanto vediamo e dei messaggi che diamo o vogliamo dare."

"E le tue foto?"

"Le foto qui esposte sono fatte sovrapponendo, sullo stesso negativo, un’immagine di paesaggio naturale, volutamente sfocata, ed un particolare di un oggetto di uso quotidiano. Il mio primo intento è quello di ottenere un’immagine piacevole; il secondo, più importante, quello di reinterpretare una forma, dandole un’evidenza diversa dall’usuale e quindi un significato mio proprio."

"Lara…scusa, scusate se vi interrompo, ma devo proprio andare e non posso rinunciare ad una foto davanti ad una tua opera insieme a te." con queste parole una giovane bionda con una minigonna di raso rosa sottile, di quelle che fasciano il corpo alleggerendone le forme, si trascina via, afferrandola per un braccio, una Lara non proprio compiacente.

"A presto, spero, vienimi a trovare; un buon bicchiere di vino mandorlato ghiacciato con qualche biscotto al sesamo od all’uvetta è sempre pronto per te." grida Lara, scomparendo tra la folla e mostrando di ricordare i suoi gusti.

Alberto Carlo rivolge ancora lo sguardo alle foto.

Finalmente riconosce immagini di forme geometriche su sfondi multicolori, di sezioni, di strumenti, di manici o di rami su macchie di toni di grigi, di componenti tecnologiche su sfondi di forme indefinite. Fin quando una luce più forte, marcata, su uno sfondo informe, guadagna la scena ed introduce una voce suadente che mormora.: "Osserva! Il primo piano e …o lo sfondo."

Erano le sei di domenica mattina. Alberto Carlo, appena desto, cercava di ripassare, battuta dopo battuta, il dialogo avuto in sogno per non dimenticarne alcun brano. Anche da quella notte era venuto un contributo al suo quesito; ora andava elaborato, capito, fatto proprio.

Questi i pensieri; l’azione fu di vestirsi rapidamente ed uscire in strada. Meta stabilita il bar d’angolo, per il cornetto caldo alle mandorle e marmellata ed il caffè alla crema.

La strada sotto casa era deserta, priva di qualsiasi forma di vita umana ed animale, anche del gatto grigio e rosso che normalmente gli si avvicinava e, miagolando, mendicava cibo o coccole.

Era la situazione ideale per fare una prima prova senza dare troppo nell’occhio,. Ma da dove iniziare ? Si mise al centro della strada e cercò qualcosa che attirasse la sua attenzione.

A prima vista … nulla. Eppure la sua amica Lara col nulla aveva creato delle immagini piene di fascino. Si doveva impegnare, sforzarsi per individuare un particolare che lo incuriosisse; ma in una strada frequentata da quarant’anni, ‘a priori’ ritenuta scontata, non era semplice.

Con metodo iniziò a passare in rassegna il lastricato delle strada, i portoni dei palazzi, quanto le auto in sosta lasciavano ancora vedere dei marmi e delle finestre dei piani seminterrati, le facciate …. Poi, tra due finestre murate del quinto piano di palazzo Altieri, inquadrò due piante in fiore, tra loro intrecciate, che fuoriuscivano da una crepa dell’intonaco: una rigogliosa pianta di cappero faceva calare i suoi rami, colmi di fiori bianchi e splendenti, tra gli steli rosati, impettiti e vigorosi, di una pianta di bocca di leone.

Alberto Carlo provò a guardarle con modalità differenti. Dapprima, inserendo le piante in un ampio campo visivo comprendente tutta la strada, poi, man mano, riducendolo alla facciata del palazzo, alle due finestre, alle sole piante.

Da principio non notò grandi diversità; poi, con la ripetizione dell’esercizio, lentamente iniziò a constatare che più si sforzava di osservare i dettagli delle piante più lo sfondo si sfocava. Quando, finalmente, riuscì a concentrare lo sguardo su un solo fiore di cappero, tutto il resto, effettivamente, non contò più.

Il risultato dell’esercizio gli parve soddisfacente: la concentrazione aveva dato i suoi frutti. Aveva avuto una prima, approssimata, vaga idea sul primo piano e lo sfondo. Era già qualche cosa, ma gli risultava ancora poco naturale.

Il tempo comunque dedicato all’esercizio doveva essere stato maggiore di quello mentalmente percepito. La strada non era più vuota: carico e scarico di merci, motorini, passanti frettolosi movimentavano la scena. Tra gli altri un netturbino, per la precisione una operatrice ecologica, attirò la sua attenzione.

Era una giovane donna con i capelli biondi, lisci, tagliati a caschetto. Indossava una camicetta bianca sotto la salopette verde della divisa regolamentare. Con una usurata scopa di saggina puliva il bordo della strada. Il lavoro era scandito da un movimento ritmico che produceva un effetto curioso. Le pieghe verticali, perfettamente stirate, della salopette venivano alternativamente interrotte, all’altezza dell’attaccatura del gluteo con la coscia, da pieghe orizzontali. L’apparire della piega orizzontale coincideva con l’aderenza del tessuto al gluteo, che in quel momento si mostrava in tutta la sua rotondità, prima sconosciuta.

L’effetto visivo, su questo era concentrato Alberto Carlo, si concretizzava nell’apparire e sparire della rotondità a destra e a sinistra, a destra ed a sinistra, …

La piacevolezza del movimento gli risultava tale che ben presto null’altro nel suo campo visivo fu presente.

Solo più tardi, ripensandoci, realizzò che, in quei momenti, lo sfondo non esisteva.

Passandole accanto, il suo volto doveva istintivamente accennare un sorriso compiaciuto a giudicare dall’espressione divertita della donna, suggellata da un allegro e invitante: "Buona domenica, signore."

Per tutta risposta, forse perché nel frattempo colpito anche dal viso di lei, leggermente e finemente truccato, non seppe rispondere altro che un povero e scontato: "Grazie."

L’incontro lo colpì. Al bar, gustando il cornetto, non aveva altro per la testa. Ripensava la scena: si domandava quali casi della vita avessero indotto una donna così a fare la netturbina. Ma soprattutto rifletteva su quanto una bella forma, quel sedere nel caso specifico, avesse il potere di totalizzare la mente, lo sguardo e con esso il campo visivo.

Il rientro a casa fu tutt’uno con lo sprofondare nella poltrona del salone per continuare a pensare alle esperienze fatte.

Lo sguardo cadde naturalmente sui quadri appesi di fronte a lui; in verità tutte le pareti della casa ne erano tappezzate. Volutamente i quadri non avevano un ordine: né per tema, né per stile né per epoca.

"La vita è complessa, non ordinata." Sosteneva lui "Non bisogna ricreare un ambiente falso, non naturale. Ogni stile, ogni espressione ha una sua dignità, se non altro perché espressione di un gusto, di una cultura che va accettata, capita, possibilmente integrata."

E’ per questo che risultavano ad esempio accostati: un paesaggio ottocentesco di anonimo con un albero in evidenza; una natura morta napoletana del primo novecento del Negri con violino, brocca, bottiglia e bicchiere ed una composizione astratta di Figuerola comprata, qualche tempo prima, alla mostra dei pittori di via Margutta.

Osservandoli, si trovò a concordare con Lara.

L’effetto dell’albero nel primo quadro, proprio perché lo sfondo esisteva, era meno potente ed autorevole di quello degli oggetti della natura morta o delle forme del quadro astratto. Dava però una sensazione di calma serenità distaccata, pareva quasi dire: "Io sono qua, guardami pure, sono un pezzo di mondo e di storia, sono parte del mondo reale."

La natura morta invece si mostrava austera e distaccata: era lì, composta, intoccabile, indisponibile a qualsiasi intrusione.

Il quadro astratto, di contro, chiedeva aiuto, invocava uno sforzo di comprensione; il suo messaggio sembrava essere: "Se non ti immergi in me il tuo vedere sarà privo d’effetto."

"Possibile" mormorò tra sé, in quel mentre, Alberto Carlo "che bisogna apprendere dai quadri ad usare la vista!"

La cosa, comunque, non era ancora del tutto chiara. Aveva afferrato alcuni primi elementi: sicuramente aveva capito che era possibile istruire e calibrare lo sguardo a secondo che volesse assolutizzare un oggetto o relazionarsi con esso.

Aveva scoperto e sperimentato una catena consequenziale siffatta: più ci si concentra sul primo piano, più si mette a fuoco un particolare, più lo sfondo scompare, più l’oggetto è altro da me. Viceversa più ci si concentra sullo sfondo, più si sfoca l’immagine, più si è propensi a relazionarsi o, che è lo stesso, a sforzarsi di capire.

Questa prima formulazione gli fece venire in mente quei poster che, a prima vista, sembrano raffigurare solo una moltitudine di puntini multicolori (nel linguaggio usato ‘tutto sfondo’). Guardati dalla dovuta distanza, sfocando l’immagine, mostrano il loro contenuto coinvolgente di immagini tridimensionali.

Adesso capiva perché lo affascinavano tanto.

Doveva però trovare qualcosa che completasse queste riflessioni e le facesse divenire parte di sé, un suo abito mentale.

All’improvviso, una illuminazione. L’attenzione ai quadri e la riflessione che, anche nel sogno, di essi si era parlato gli palesò il da farsi. Avrebbe dovuto cimentarsi nella creazione di disegni, stabilendone anticipatamente l’effetto voluto.

Decise così che il pomeriggio l’avrebbe dedicato a queste prove.

Per il momento avrebbe dovuto tenere fede a quanto precedentemente concordato con la moglie: il brunch domenicale all’Hotel de la Ville.

Abitudine, a suo modo di vedere, dai molti vantaggi: locale piacevole, camerieri discreti e gentili, scelta dei cibi curata e ben assortita, musica dal vivo non invadente e molto gradevole, merito di una scelta curata del repertorio leggero italiano e francese e di una cantante che non nasconde il suo accento d’origine americana. Infine il vantaggio maggiore: ci si serve da soli. Si può decidere la velocità di successione delle portate più congeniale con evidente diminuzione di stress.

Il ritmo dell’assunzione del pasto, quel giorno, fu particolarmente rapido. Aveva fretta di mettersi all’opera.

Alle quattordici era già fuori dall’Hotel.

Per strada non faceva che rimuginare le esperienze della mattina e cercare quale potesse essere il primo soggetto.

La giornata di luglio era particolarmente serena ed il traffico quasi inesistente. Procedeva, camminando lentamente sotto la calura, per uno stretto vicolo sfociante in uno slargo. Le facciate alte dei palazzi, differentemente dipinte, limitavano la visione del cielo ad una stretta porzione, che l’effetto prospettico rendeva convergente.

Alzando gli occhi notò otto uccelli, irriconoscibili per il forte bagliore di luce, probabilmente dei rondoni, che sfrecciavano in formazione composta.

Gli sembrò l’immagine adatta ad ispirare il suo debutto da pittore.

L’impegno iniziale era solo quello di produrre un disegno piacevole. Un risultato desiderato: una prima interpretazione di quella scena. Riuscire a rendere una sensazione di distacco, di ‘altro da sé’ sarebbe stato il massimo.

Rientrato a casa, tirò fuori un vecchio album da disegno e dei pastelli, acquistati da poco per farne dono alla giovane figlia di un amico, e si mise all’opera.

I primi tentativi furono un disastro. La cura eccessiva dei particolari, anche per l’imperizia del tratto, produceva invece di uccelli dei piccoli mostri volanti; l’effetto finale non era né piacevole, né distaccato.

Provò a stilizzare i tratti, senza che si perdessero le forme. Dopo tre fogli gettati nel cestino ottenne qualcosa che aveva a che fare con l’effetto desiderato.

 

 

 

 

 

Il risultato non era scoraggiante, ma neanche eccezionale; ritenne di doversi dare subito un secondo compito. Questa volta volle cimentarsi con un’immagine in cerca di contatto, di relazione.

Per quanto aveva appreso, il soggetto avrebbe dovuto essere un ‘tutto sfondo’. Una immagine informale, intrigante sarebbe stata l’ideale, sia per lo scopo che, forse, per la rapidità con la quale poteva essere realizzata. Doveva però risultare piacevole e suscitare interrogativi di comprensione.

Non gli sfuggì che le ore, quel pomeriggio, passavano in fretta, ma la volontà di apprendere qualcosa era forte.

Pensò ad una mano, immersa in un recipiente pieno di una sostanza colorata. Ne tentò la realizzazione: la semplificò, la deformò per renderla più intrigante e misteriosa, almeno nelle sue intenzioni.

Dopo cancellazioni, rifacimenti ed aggiustamenti il risultato gli sembrò accettabile.

 

 

 

 

Ma poteva dire di aver appreso, con quelle due prove, la tecnica della vista? Non ne era certo. Comunque, nell’utilizzo di questo senso, un passo sicuramente era stato compiuto.

La sperimentazione però era stata ristretta al campo dell’interpretazione. Certo la creazione pura era altra cosa. Sentì forte il desiderio, il bisogno di cimentarsi anche in questa: doveva produrre un disegno non per verificare qualcosa, ma per il piacere di creare, per il piacere di esistere.

L’ispirazione non sarebbe dovuta essere il reale, ma forme di un mondo suo proprio, essenze fantastiche che rivelassero la sua vitalità creativa.

Il rapporto della ‘vista’ con esso non avrebbe dovuto essere solo la ricerca del primo piano e lo sfondo, ma, questa volta, la ricerca del suo mondo creativo. Pensò alla vita ed alla sua gestazione, alla libertà di volare e nuotare, al rapporto con l’altro. Il disegno si fece da solo.

 

 

 

 

Una volta terminato, lo osservò attentamente. Non sapeva se gli altri lo avrebbero trovato freddo e distaccato, ma per lui sarebbe rimasto il simbolo dei valori che l’avevano ispirato.

"Il brunch di oggi ti ha bloccato l’appetito. Sono le otto, a quest’ora di solito già reclami la cena." La moglie lo riportava ai ritmi di vita. Effettivamente, solo quando era preso in qualcosa di grande interesse, e non gli succedeva spesso, perdeva la nozione del tempo.

Intento ad arrotolare con la forchetta gli spaghetti al pesto di noci, pensava all’esperienza fatta quel giorno, agli altri sensi su cui ancora riflettere, al settimo senso, tutto da scoprire, al giorno seguente, lunedì, divorato dalla solita routine d’ufficio.

Dovette lottare contro il senso del dovere, che fin da piccolo gli era stato instillato, per giungere alla decisione che non poteva perdere quel momento magico. La settimana successiva l’avrebbe presa di ferie: avrebbe dedicato ogni giorno allo studio di un senso ed alla personalizzazione del suo utilizzo.

 

Soddisfatto del lavoro della giornata :

La vista ® come percezione delle immagini.

Di ogni immagine è possibile focalizzare:
               ® un primo piano: definito, 'altro da sé'

               ® uno sfondo: non definito,' in cerca del sé'

e dell’impegno preso per i giorni seguenti, quella serata fu particolarmente loquace, cosa che non gli capitava troppo spesso. Parlò delle prossime ferie, dei programmi per le varie giornate, degli auspici su quello o quell’altro avvenimento. Conquistò così, senza accorgersene, l’ora della buona notte.

Quella notte si sarebbe dovuto addormentare in compagnia dell’olfatto. Cercò di rammentare un profumo significativo nella sua vita, ma l’odore dello spray ammazza zanzare alla citronella gli inibiva qualsiasi ricerca: aveva almeno un potere soporifero.