Il problem solving evoluto: inquadramento

Una organizzazione non può ritenere di essere o poter rimanere "eccellente", in un sistema competitivo e complesso come l'attuale, se non monitorando continuamente i propri sistemi di gestione e relazione.

Per far ciò deve prestare estrema attenzione a tutti i malesseri ed i malfunzionamenti che si verificano nei propri network interni ed esterni.

E' possibile definire, quale possibile sequenza di approntare tutte le possibili difficoltà, la seguente:

 

Problem finding Þ rendersi conto del problema

Problem setting Þ definire il problema

Problem analysis Þ scomporre il problema principale in problemi secondari

Problem solving Þ rispondere alle domande poste dal problema

Decision making Þ decidere come agire in base alle risposte ottenute

Decision taking Þ passare all’azione

 

Il "problem solving" ritengo sia l'anello della sequenza che meno è stato fin ad ora adeguato alla realtà tecnologica e metodologica attuale.

La scienza dei confini, di seguito presentata, intende sopperire a tale stato di cose.



La scienza dei confini
Un nuovo modo di affrontare la soluzione dei problemi

Carlo Bandiera e Alessandro Amadori *

(pubblicato nel n.3/2001 di Il Nuovo Management )

 

Il mondo industriale avanzato è il mondo del sapere, della comunicazione. Ma per molti osservatori oggi c’è persino troppo sapere, troppa informazione in circolazione. Ogni giorno viene "prodotta" una quantità immensa di conoscenza e informazioni, tanto che paradossalmente non sappiamo come utilizzarle pienamente. Inoltre i saperi, le conoscenze, le competenze, sono sempre più complessi e sempre più "parcellizzati": perciò, diventa sempre più difficile mettere a frutto le conoscenze e le esperienze degli altri, e riuscire a dire qualcosa di interessante e innovativo in un settore che non sia il "nostro". Quindi, in realtà, almeno sul piano teorico, è sempre più difficile risolvere in modo innovativo problemi non appartenenti alla sfera di competenza personale (Carruthers e Chamberlain, 2000).

Gli studi scientifici sul problem solving hanno messo in luce due aspetti complementari di questo processo. Da un lato l’aspetto dell’elaborazione "lineare" delle informazioni, in vista del raggiungimento della soluzione (si tratta dei cosiddetti modelli cognitivi). Dall’altro l’aspetto tradizionalmente definito "intuizione", e riguardante la capacità "olistica" della mente di raggiungere improvvise ristrutturazioni del campo cognitivo mediante fenomeni "integrativi" (modelli gestaltici). Per una rassegna generale delle recenti acquisizioni in materia di psicologia del pensiero e di problem solving si vedano ad esempio Banyard e Hayes (1991) e Keane e Gilhooly (1992). Si tratta di volumi che ampliano e perfezionano il corpus tradizionale delle conoscenze sulla psicologia del pensiero, sulla scia di quanto rinvenibile ad esempio in Bolton (1972) e George (1970).

Per un approfondimento sui modelli cognitivi, che ipotizzano una sostanziale identità logica tra il funzionamento della mente umana e l’operato degli elaboratori elettronici, si possono consultare Dorner (1988), Osherson e Smith (1990) e Simon (1988). Mentre il filone gestaltico è ampiamente trattato non solo nel classico testo di Wertheimer (1965), ma anche in Duncker (1969), Legrenzi e Mazzocco (1975) e Murray (1995). Infine, un po’ a cavallo tra approccio cognitivo e approccio gestaltico, vi è una discreta produzione bibliografica sulla tecnologia pratica del pensiero e del problem solving (tra cui ad esempio De Bono, 1969 e 1971; Dennet, 1985).

Entrambi gli approcci, sia quello gestaltico sia quello cognitivo, sono stati formulati in un’epoca in cui si era ben lungi dall’attuale condizione di sovraffollamento informativo. Sono perciò in un certo senso inadeguati a descrivere il processo di risoluzione di problemi in una situazione (come è quella attuale) di "ridondanza cognitiva". Oggi infatti il focus di un processo di problem solving consiste proprio nella selezione dell’informazione pertinente (cioè in quello stadio del "data finding" che diversi modelli di problem solving creativo indicano appunto come "nodo cruciale" del processo stesso; si veda ad esempio quanto riportato in Isaksen e Treffinger, 1985).

Poiché lo stadio del data finding è più che propedeutico ad ogni soluzione efficace di un problema (Parnes, 1997), e dato che aumenta sempre di più la quantità di informazioni da "scandagliare" (con inevitabili influenze proprio sulla durata dello stadio del data finding), si arriva alla conclusione paradossale che l’aumento dell’informazione circolante rischia da un lato di allungare i tempi di un processo di problem solving creativo e dall’altro di rendere sempre più parcellizzato e specialistico appunto il processo di risoluzione dei problemi. In un certo senso, corriamo il rischio di dare vita ad una società "anti-rinascimentale" (cioè basata sul principio opposto a quello della fioritura rinascimentale, che era il principio della trasversalità della conoscenza).

Dobbiamo rassegnarci a questa situazione? La risposta è no. Sta nascendo infatti una nuova scienza, che può aiutare ciascuno di noi a:

Fantascienza? No, è un nuovo approccio formativo che possiamo chiamare "scienza dei confini" (perché come detto ci aiuta a definire i confini culturali e temporali di un determinato problema, e a trovare soluzioni per quel problema).

Per spiegare di cosa si occupa la scienza dei confini e come "funziona", partiamo da due fatti di cronaca, resi "blind" per ragioni di privacy.

Primo caso

Un noto manager ed avvocato milanese si trovò nella situazione di avere un figlio gravemente malato che non reagiva alle cure che i medici gli andavano somministrando.

Vedendolo deperire di giorno in giorno, decise di occuparsi in prima persona della cosa.

Si prese un periodo di libertà dal lavoro ed iniziò a ricercare documentazione, studi e informazioni su tutto ciò che riguardava l’organo malato del figlio, le patologie dello stesso e le ricerche in atto. Raccolse anche nominativi di esperti e ricercatori nello specifico campo, ed i loro indirizzi e-mail.

Esaminò la documentazione raccolta e si fece un’idea più "specifica" del problema; iniziò poi a chiedere agli esperti pareri sulle ricerche e sulle tecniche sperimentali rintracciate, nonché sulle possibili modalità di cura estrapolate dai primi risultati.

Dopo quasi trenta giorni di studio e di contatti si convinse di aver individuato una possibile cura per il figlio. La propose, corredata dalla documentazione accumulata, al medico curante che la prescrisse. Il figlio guarì.

Secondo caso

Un imprenditore del Nord-Est italiano, uomo pratico con studi interrotti dopo la maturità, da mesi chiedeva ai suoi uomini della ricerca e sviluppo, laureati in scienze chimiche e in ingegneria, un materiale più elastico per le suole delle scarpe da tempo libero che rappresentavano il suo prodotto principale.

Preoccupato per l’andamento del business un giorno decise di dedicarsi personalmente alla soluzione del problema.

Raccolse, soprattutto tramite Internet come l’avvocato del caso precedente, una vasta mole di documentazione su nuovi brevetti, ricerche in corso, applicazioni di materiali elastici in settori merceologici differenti, e così via.

Contattò poi via e-mail alcuni studiosi di università e di centri di ricerca industriali. Dopo dieci giorni di studio, di contatti in rete e di tentativi di combinare e ricombinare componenti chimici da altri utilizzati, focalizzò un nuovo composto a base di resine sia naturali che sintetiche, che pareva interessante.

Lo segnalò ai suoi ricercatori per ulteriori prove ed accertamenti. Pochi mesi dopo la nuova suola fu sul mercato con notevole successo.

Due casi differenti, caratterizzati però da processi molto simili:

Questi casi di cronaca ci indicano insomma che, nel mondo dell’eccesso di sapere, l’innovazione può nascere non tanto dall’iper-conoscenza di una materia, quanto dalla capacità di valutare a prima vista i confini del problema, di imparare ad imparare, e di ricombinare in modo originale le informazioni raccolte. In un certo senso si ritorna a Socrate: il vero sapiente è colui che sa porre le domande giuste. I tre pilastri della scienza dei confini sono infatti:

Vediamo il primo punto, cioè la definizione dell’area del problema.

Rispetto ad una tematica "nuova per me", la prima cosa da stabilire è l’ampiezza di analisi e di studio di essa, che sia necessaria e sufficiente per il livello di conoscenza richiesto e/o per la soluzione del problema che si sta affrontando. Con riferimento al primo caso citato, se il problema riguarda un organo malato si devono definire quali sono le aree tematiche su cui raccogliere informazioni: l’anatomia dell’organo, la sua funzionalità normale, le sue patologie note, le relazioni con gli altri organi del corpo umano, le relazioni con i vari sistemi e tessuti, gli aspetti psicosomatici, e così via. Insomma, si tratta di decidere, attraverso una specie di "prospezione della materia", dove fermare l’indagine (e questa è la dimensione dell’ampiezza).

Poi occorre definire la profondità di analisi e di studio, necessaria e sufficiente a risolvere il problema. Rispetto al caso prima citato, bisogna decidere se studiare l’organo solo nella sua morfologia complessiva oppure anche nella sua fisiologia interna, o anche nella sua biochimica, o addirittura nelle interazioni molecolari e genetiche, e così via (questa è la dimensione della profondità).

Definire i confini di un problema significa in altri termini valutare almeno orientativamente l’ampiezza e la profondità del problema stesso, tratteggiarne cioè "l’area conoscitiva".

CONTENUTI x PRECISIONE= CONFINI

L’ampiezza e la profondità sono dimensioni che dipendono a loro volta da altre dimensioni. L’ampiezza varia a seconda del settore concettuale di riferimento, della cultura degli operatori di quel settore, del livello di definizione utile della tematica.

Per esempio: l’ampiezza cresce se il settore è molto interdisciplinare, gli operatori di quel settore hanno competenze variegate, si ha una definizione molto generale della tematica (quindi, paradossalmente, l’ampiezza è minore se ci si occupa di una materia molto focalizzata, ad esempio una specifica malattia genetica, gli operatori hanno una formazione molto uniforme, ad esempio sono tutti medici, la definizione della tematica è molto specifica, ad esempio è la biochimica di una particolare molecola).

La profondità a sua volta dipende dal settore concettuale di riferimento, dalla cultura degli operatori e dal livello di precisione attesa o necessaria. Per esempio, a parità di ampiezza, la profondità diventa maggiore se l’applicazione richiesta è uno specifico brevetto: con riferimento all’esempio precedente dell’ampiezza, se su una determinata malattia genetica bisogna tenere una conferenza informativa a genitori la profondità è minore, se invece si tratta di "brevettare una cura", la profondità diventa molto maggiore.

Schematizzando:

L’AMPIEZZA è funzione di

 

LA PROFONDITA’ è funzione di

 

Concretamente, solo dopo aver raccolto un numero sufficiente di documenti ed essersi fatti un’idea della loro consistenza rispetto al problema posto, è possibile determinare se questi documenti soddisfino o meno l’ampiezza e la profondità richieste (o se si preferisce necessarie e sufficienti). Questo approccio ai problemi si può dunque chiamare "scienza dei confini" proprio perché presuppone un processo di valutazione dell’area concettuale entro cui muoversi in termini di profondità e ampiezza.

Passiamo ora al secondo punto, il "meta-apprendimento" (imparare ad imparare). Per praticare la scienza dei confini, servono innanzitutto le capacità logiche e linguistiche e le nozioni di base fornite normalmente dalla scuola secondaria superiore. In aggiunta bisogna però "imparare ad imparare", cioè conoscere le modalità e gli stili cognitivi personali attraverso i quali si forma il nostro sistema di rappresentazione mentale della realtà (Clancey, 1997; Gallistel, 1990). Per meta-apprendimento si intendono da un lato la conoscenza metacognitiva vera e propria, cioè l'insieme delle idee che un individuo sviluppa sul funzionamento della mente propria e altrui (Valsiner e Voss, 1996); dall'altro i processi metacognitivi di controllo, ossia le operazioni che la mente svolge per organizzare la propria attività (come illustra ad esempio Cornoldi, 1995, sviluppando le sue argomentazioni in una prima parte sulle basi teoriche e sperimentali della metacognizione, e successivamente passando dalla teoria all’applicazione nella dinamica concreta dei processi di apprendimento).

Gli studi sugli stili di apprendimento e cognizione hanno provato che, di fronte ad un problema da risolvere, la nostra reazione immediata è di tipo difensivo. Cerchiamo innanzitutto un "terreno solido sul quale poggiare i piedi" (Morris, 1987). Risulta invece molto più proficuo adottare un atteggiamento di tipo esplorativo: sbagliare significa iniziare un’avventurosa esplorazione di mondi possibili e di contesti comunicativi differenti dai nostri (Anderson, 1996; Sclavi, 2001). Apprendere infatti, secondo l’insegnamento di Gregory Bateson, vuole dire in primo luogo proprio "apprendere ad apprendere", ovvero seguire la via del meta-apprendimento (1984, 2000). E’ solo il meta-apprendimento che ci consente di fronteggiare quello che Gabriel Levy (1996) dipinge come un "diluvio informativo" da cui il singolo si salva organizzando una metaforica "Arca della Conoscenza" che individui almeno per sommi capi che cos’è utile salvare, e che cosa no, nel "mare della ridondanza e della complessità".

A completamento dei lavori di inquadramento teorico sul concetto di "imparare ad imparare", vi sono poi molti testi sulla didattica dell’apprendimento. Essi però disegnano un quadro piuttosto frammentario: vi sono per esempio libri sulla programmazione didattica e sulle tecniche di insegnamento, libri sulla metacognizione, libri sulla motivazione, libri sulla dinamica di gruppo, ma essi mancano di una visione concettuale unitaria. Prevale la giustapposizione di proposte e di ricerche "molecolari", a segnalare che la giovane "tecnologia del meta-apprendimento", nel suo entusiasmo di sfornare "metodi concretamente applicabili", procede per ora senza troppi scrupoli di raccordo con il quadro teorico generale delineato dai "filosofi della metacognizione".

In ogni caso lo scollamento di cui sopra ha avuto anche dei riflessi positivi. Oggi sono disponibili, grazie ai lavori dei "tecnologi del meta-apprendimento", test sufficientemente attendibili per misurare il proprio stile di apprendimento (Blagg, 1991) e supporti didattici per imparare ad imparare meglio, alcuni dei quali risalgono addirittura, nella loro derivazione genealogica, alla metà del secolo scorso (Bode, 1940; Bower, 1966; Bruner, 1985; Hilgard, 1956). E’ proprio di questi strumenti testistici e di miglioramento prestazionale che si avvale la neonata "scienza dei confini".

Il terzo cardine della disciplina è costituito dalle tecniche di combinazione creativa delle informazioni. In letteratura sono stati descritti oltre 200 metodi per produrre idee, a partire da nozioni più elementari (per una rassegna sull’argomento si possono consultare i seguenti testi: Amadori, 1992; Amadori e Piepoli, 1992, 1997a, 1997b; Arieti, 1979; Bendin, 1990; Jaoui, 1979; Parnes, 1981; Waddington, 1987). Fra tutte queste tecniche, qui ci limiteremo a segnalare come esempi le associazioni forzate e la loro variante costituita dal metodo degli oggetti induttori.

Le tecniche di associazione forzata consistono appunto in associazioni condotte in forma guidata (sono anche dette "tecniche di relazioni forzate"). Tramite il loro impiego, si può riuscire a mettere in relazione reciproca due o più idee che normalmente non appaiono associate, originando così accostamenti inusuali.

Operativamente, l’associazione forzata prevede l’evocazione preliminare di qualcosa che si colleghi, direttamente o indirettamente, all’oggetto o all’attività che si vuole modificare oppure al campo del sapere su cui si vuole lavorare, e nella parallela ricerca di un altro oggetto, attività o sapere, che non abbia legami apparenti con il campo in questione. Una volta trovati i due "oggetti" con le relative associazioni, l’ultimo passo consiste nell’effettuare il confronto e l’associazione forzata tra i due oggetti e le relative catene associative, producendo nuovi sensi e nuovi significati (che a prima vista possono anche apparire "remoti").

In pratica, nella prima fase si stabilisce una serie di associazioni direttamente correlate al tema d’indagine o all’area sulla quale si vuole intervenire (poniamo che sia: "ambiente di lavoro"). I riferimenti derivanti potrebbero essere, per continuare l’esempio, "rumore", "persone", "arredamento", "rapporti interpersonali". In seguito si individuano dei "temi" da incrociare con il problema di partenza (ad esempio: "sport"), e si stabilisce una seconda serie di associazioni direttamente correlate (per esempio "agonismo", "preparazione", "tifo", "squadre"). Nell’ultima fase si effettuano degli incroci forzati tra la prima e la seconda serie di termini associativi, dai quali possono scaturire idee e soluzioni interessanti (ad esempio, associando "rapporti interpersonali" e "numero di persone" con "agonismo" e "squadre", si possono prefigurare concetti ed idee organizzative potenzialmente stimolanti al fine della soluzione del problema di incrementare il livello prestazione di un "team di lavoro").

 

Visualizzando:

AMBIENTE LAVORO

SPORT

* Rumore

* Agonismo

* Persone

* Preparazione

* Arredamento

* Tifo

* Rapporti interpersonali

* Squadre

Esempi di idee derivanti dall’associazione forzata:

 

 

Una variante di associazioni forzate è il metodo degli oggetti induttori. Questa tecnica viene impiegata soprattutto nella risoluzione di problemi in cui bisogna appunto produrre un nuovo concetto. Può essere adoperata individualmente o in gruppo. Ai partecipanti al lavoro creativo, uno o molti che siano, viene fornita una "lista di oggetti". Non si richiede che gli oggetti della lista abbiano attinenze particolari con il problema in parola, anzi è meglio che almeno alcuni tra gli oggetti siano completamente "fuori tema". Piuttosto è importante che gli oggetti induttori siano dei "meccanismi" (ad esempio una bicicletta, un fucile, e così via), perché proprio le caratteristiche di funzionamento di questi oggetti possono venire proficuamente rapportate alla dinamica del problema in esame, aumentando la probabilità di ottenere utili suggerimenti risolutivi.

A questo punto la domanda è: come si fa, utilizzando le nozioni esposte nei paragrafi precedenti, a stimare il tempo totale di risoluzione di un problema? Le prime sperimentazioni condotte fanno ipotizzare che, date le conoscenze di base scolastiche e quelle sia delle tecniche per imparare ad imparare sia delle tecniche di combinazione creativa, se si conoscono i tempi medi di raccolta del materiale in oggetto è possibile valutare il tempo totale che occorrerà per la soluzione del quesito proposto.

La consistenza temporale totale sarà infatti data dal tempo di raccolta delle informazioni, più il tempo di decisione circa ampiezza e profondità di indagine, più il tempo per appropriarsi delle nozioni raccolte, più infine il tempo necessario per sottoporre i dati e le informazioni alle tecniche creative sopra descritte.

Il tempo totale di risoluzione di un problema è cioè la somma dei seguenti tempi parziali:

Anche nel caso di problemi imprevisti, che ci spiazzino, che escano dal nostro ambito di attività, con la scienza dei confini è possibile impostare razionalmente le attività di risoluzione e soprattutto programmare con ragionevole approssimazione quanto tempo ci vorrà per arrivare comunque ad una soluzione, più o meno adeguata. Magia? Fantascienza? No, soltanto un nuovo approccio all’elaborazione del sapere.

Insomma, la scienza dei confini è un possibile modello di riferimento per affrontare velocemente problemi sia teorici che operativi, in un mondo caratterizzato dalla crescita esponenziale delle conoscenze e dalla disponibilità pressoché illimitata delle medesime. Il suo motto potrebbe essere, per citare le parole di un celebre consulente aziendale italiano, l’ingegner Alberto Galgano: "Meglio rozzo ma veloce che lento ed elegante".

Può darsi che, in un futuro già prossimo, la scienza dei confini diventi una delle discipline di base per le business school, e un vero e proprio curriculum accademico a se stante per la preparazione di "esperti nella risoluzione dei problemi". Sempre in termini di sperimentazione preliminare, sembra ragionevole ipotizzare che l’insegnamento di tale scienza, se rivolto a persone in possesso dei normali prerequisiti di base di logica, lingua e cultura generale, potrebbe risultare contenuto in dieci giornate full-time, con un percorso didattico omologo allo schema di seguito illustrato.

 

 

 

Percorso didattico della

‘Scienza dei confini’

 
 

 

 
 

I cinque saperi costitutivi

 
 

 

 

A.

Sapere ‘apprendere’

ovvero

Assimilazione delle nozioni di base su ‘imparare ad imparare’

 
     

B.

Sapere ‘cercare’

ovvero

Capacità di reperire documentazione off e on-line

 
     

C.

 

Sapere ‘individuare i confini’

ovvero

Capacità di valutare ampiezza e profondità dell’area tematica necessarie e sufficienti

 
     

D.

Sapere ‘associare’

ovvero

Capacità di utilizzare tecniche creative

 
     

E.

Sapere ‘tempificare’

ovvero

Capacità di stabilire i tempi del processo definendone il probabile termine

 
     

 

In figura:

Proviamo a questo punto a esemplificare concretamente un’applicazione di "scienza dei confini" (l’esempio che segue dà per note le modalità e gli stili personali dell’"imparare ad imparare" ed ipotizza che si acquisisca la documentazione solo tramite l’utilizzo del canale Internet).

* * *

ESEMPIO DI PROBLEM SOLVING CON L’APPROCCIO DELLA "SCIENZA DEI CONFINI"

 

IL QUESITO

Ideare un paio di scarpe particolarmente comode ed innovative.

IL PERCORSO

1) Prima ricerca con finalità informativa sul quesito posto e valutazione preliminare dei tempi ipotizzabili (assumiamo di fare una ricerca mediante un "motore intelligente", ovvero con capacità di selezione e indicazione di preferenza dei documenti più pertinenti rispetto alle parole-chiave impostate, lavorando sui seguenti concetti: COMODITA’, RICERCA, "NUOVI MATERIALI", DESIGN, e facendo uso dei connettivi logici AND e OR). Supponiamo che, come risultato della ricerca, si ottengano 23.600 documenti).

2) Definizione dei tempi necessari ad ottenere una possibile risposta al quesito:

2.1 Lettura dei primi 50 documenti per avere una prima panoramica e farsi un’idea preliminare dell’ampiezza necessaria e sufficiente; TEMPO 3 ORE.

2.2 Individuazione della nuova impostazione per la ricerca e delle parole chiave più appropriate per il quesito specifico; per esempio, suddivisione della ricerca in due sottoricerche: a) RESINE, BREVETTI, ELASTICITA’, b) MODA, DESIGN; TEMPO 1 ORA.

2.3 Ricerca e lettura dei documenti estratti per valutare l’ampiezza necessaria e sufficiente; ipotizzando di considerare una media di 30 documenti per ogni ricerca, TEMPO 4 ORE.

2.4 I risultati delle ricerche precedenti, esaminati alla luce dei dettagli indispensabili a rendere operativa la risposta al quesito, danno indicazioni su come definire la profondità. A questo punto si può effettuare un’ulteriore ricerca focalizzata per individuare alcuni esperti con cui successivamente verificare, anche solo via e-mail, le ipotesi di soluzione. Supponiamo di ottenere 30 nuovi documenti; TEMPO 2 ORE.

2.5 I risultati delle due ricerche di cui ai punti 2.2 e 2.3, con l’aggiunta dei dettagli di cui al punto 2.4, vanno "intersecati" con l’oggetto "scarpa" adoperando una o più specifiche tecniche creative. Ipotizziamo di fare un paio di sedute creative da cui far emergere alcune possibili soluzioni; TEMPO 6 ORE.

2.6 Infine le soluzioni di cui sopra vanno sottoposte, per quanto di competenza tecnica o professionale, al parere di specialisti, coinvolti nel processo o individuati precedentemente via Internet, al fine di scegliere la soluzione plausibilmente "migliore"; TEMPO 16 ORE.

TEMPO STIMATO TOTALE: ORE (16 + 6 + 2 + 4 + 1 + 3) = ORE 32 DI LAVORO

* * *

In conclusione, la scienza dei confini nasce come un tentativo di despecializzare il sapere in un mondo che rischia di soffocare per l’eccesso di sapere, riportando l’attenzione sul processo più che sul contenuto specifico. O meglio, come un tentativo di creare degli esperti di "gestione del sapere", più che degli specialisti di un sapere particolare. In questo senso, essa rappresenta un notevole cambiamento di rotta rispetto ad una formazione mirata invece a supportare semplicemente l’aggiornamento tematico e professionale dei singoli "esperti di settore".

L’approccio pare promettente, ma gli autori si sentono in dovere di puntualizzare che solo al termine delle sperimentazioni in corso sarà possibile esplicitare meglio sia i dettagli del metodo della scienza dei confini sia i prerequisiti cognitivi necessari per praticarla. In ogni caso la sfida è stimolante, anche per la crescente consapevolezza del fatto che i nuovi problemi di un mondo non lineare e caotico richiedono un metodo diverso, più veloce e più "traversale", di affrontare le questioni cruciali del nostro tempo.

Del resto hanno scritto due grandi pensatori:

"Difficile non è sapere, ma saper far uso di ciò che si sa." (Han Fei)

"E’ molto più bello sapere qualcosa di tutto, che sapere tutto di una cosa." (Pascal)

 

BIBLIOGRAFIA

Amadori A., "Le tecniche creative", tesi di dottorato, Università di Padova, Padova, 1992.

Amadori A., Piepoli N., "Come essere creativi" (1), Sperling & Kupfer, Milano, 1992.

Amadori A., Piepoli N., "Come essere creativi" (2), Sperling & Kupfer, Milano, 1997.

Amadori A., Piepoli N., "Creatività in azione", Sperling & Kupfer, Milano, 1997.

Anderson J. R., "Learning and memory", John Wiley & Sons, NewYork, 1996.

Arieti S., "Creatività, la sintesi magica", Il Pensiero Scientifico, Roma, 1979.

Banyard P., Hayes N., "Thinking and problem solving", The British Psychological Society, Leicester, 1991.

Bateson G., "Mente e natura", Adelphi, Milano, 1984.

Bateson G., "Una sacra unità. Altri passi verso un’ecologia della mente", Adelphi, Milano 1997.

Bateson G., "Verso una ecologia della mente", Adelphi, Milano, 2000.

Blagg. N., "Can we teach intelligence?", Lawrence Erlbaum Associates, New York, 1991.

Bendin M. "Creatività. Come sbloccarla, stimolarla, svilupparla e viverla", Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1990.

Bode B. H., "How we learn", Heath and Company, Boston, 1940.

Bolton N., "The psychology of thinking", Methuen and Co., London, 1972.

Bower J., "Theories of learning", Appleton Century Grofts, New York, 1987.

Bruner J. S., "Verso una teoria dell’istruzione", Armando, Roma, 1985.

Carruthers P., Chamberlain A., "Evolution and the human mind", Cambridge University Press, 2000.

Clancey W., "Situated cognition", Cambridge University Press, Cambridge, 1997.

Cornoldi C., "Metacognizione e apprendimento", Il Mulino, Bologna, 1995.

Dennet D. C., "Brainstorms", The Harvester Press, Brighton, 1985.

De Bono E., "The mechanism of mind", Jonathan Cape, London, 1969.

De Bono E., "Imparare a pensare in 15 giorni", Feltrinelli, Milano, 1971.

Dennet D. C., "Brainstorms", The Harvester Press, Brighton, 1985.

Dorner D., "La soluzione dei problemi come elaborazione dell’informazione", Città Nuova Editrice, Roma, 1988.

Duncker K., "La psicologia del pensiero produttivo", Giunti Barbera, Firenze, 1969.

Gallistel C. R., "The organization of learning", The MIT Press, Cambridge, 1990.

George F. H., "Models of thinking", George Allen and Unwin Ltd., London, 1970.

Hilgard E. R., "Theories of learning", Appleton Century Crofts, New York, 1956.

Isaksen S. G., Treffinger D. J., "Creative Problem Solving: the Basic Course", Bearly Limited, Buffalo, New York, 1985.

Jaoui H., "Créa. Prat.", E.P.I., Parigi, 1979.

Keane M. T., Gilhooly K. J., "Advances in psychology of thinking", Harvester Wheatsheaf, New York, 1992.

Legrenzi P., Mazzocco A., "Psicologia del pensiero", Aldo Martello - Giunti Editore, Firenze, 1975.

Levy G., "L’intelligenza collettiva", Feltrinelli, Milano, 1996.

Morris P., "Modelling cognition", Wiley, New York, 1987.

Murray D., "Gestalt psychology and the cognitive revolution", Harvester Wheatsheaf, New York, 1995.

Osherson D. N., Smith E. E., "Invitation to cognitive science", The MIT Press, Cambridge, 1990.

Parnes S. J., "Optimize. The magic of your mind", Bearly Limited, Buffalo, New York, 1997.

Parnes S. J., "The magic of your mind", Bearly Limited, Buffalo, New York, 1981.

Sclavi M., "Arte di ascoltare e mondi possibili", Le Vespe, Milano, 2001.

Simon H. A., "Le scienze dell’artificiale", Il Mulino, Bologna, 1988.

Valsiner J., Voss H. G., "The structure of learning processes", Ablex Publishing Corporation, Norwood, 1996.

Waddington C., "Strumenti del pensare", Edizioni Mondadori Est, Milano, 1987.

Wertheimer M., "Il pensiero produttivo", Editrice Universitaria, Firenze, 1965.

 

*
Carlo Bandiera – Coordinatore attività Iri Management e docente di Management
Alessandro Amadori – Amministratore Delegato Coesis Research


home page