ANTILEPSEIS

( PERCEZIONI )

Narrazione didascalica sull’utilizzo
dei sette sensi.

di

Carlo Bandiera

 

 

 

Alcune note per la lettura.

 

Il presente testo vuol essere, come cita il sottotitolo, una narrazione didascalica sull’utilizzo dei sette sensi. Una narrazione che prende per mano il lettore e lo accompagna in un cammino che va dalla sensualità alla spiritualità, cercando di non renderglielo gravoso.

La narrazione che concerne ogni senso ha due livelli di trattazione: il sogno e la realtà.

Il sogno ,trattato in forma presente, a significarne la sua reale pregnanza, fornisce le riflessioni e l’approccio a quel determinato senso.

La realtà, trattata in forma imperfetta o passata, a significarne la minor pregnanza, esplicita e verifica con prove e prodotti quanto il sogno ha impostato. In essa sono presenti ricette e contributi pratici per l’agire e per proprie verifiche.

La struttura narrativa consente molteplici modalità di lettura del testo.

Lo si può leggere, come un racconto, badando solo al succedersi degli eventi, al susseguirsi di dialoghi ed azioni.

Lo si può leggere rivolgendo l’attenzione soprattutto ai contributi pratici: consigli e ricette.

Lo si può leggere rivolgendo l’attenzione ai contributi teorici.

Lo si può leggere rivolgendo anche l’attenzione alle modalità compositive (anagrammi del nome dell’autore, in coincidenza del suo pensiero, frasi e concetti che si concludono anche a fine tematica, banalmente l’inizio e la fine del testo…).

Rimane e vuol essere comunque l’espressione delle esperienze di una vita.

 

 

 

"Non c’è tempo da perdere" lo ripeteva spesso Alberto Carlo. Ben sintetizzava la sua concezione di vita intesa come un tempo da sfruttare al massimo, da riempire di azioni, di cose fatte, ma soprattutto tempo di cui essere padrone, non soggetto alle lentezze ,ai ritardi ed, a sentir lui, ottusità degli altri.

Superati i quarantacinque anni, la sua vita aveva acquisito un ritmo ancor più veloce, scandito, dal sorgere al calare del sole, da orari fissi dedicati al cibo.

Il rispetto degli impegni presi ed il raggiungimento puntuale degli obiettivi, che di volta in volta si dava, erano la sua bussola. L’unica incertezza poteva essere: fare una cosa meglio o farla in fretta. La certezza era che aveva molte altre cose da fare.

Era soddisfatto del modo in cui conduceva la sua esistenza e questo traspariva dalla sua naturale cordialità. Gli unici, rari momenti in cui si rabbuiava erano quelli in cui tentava un primo consuntivo della vita: ‘quale lo scopo della sua vita’; ‘che memoria avrebbe lasciato di sé’.

In queste questioni era perso, venerdì 4 luglio, mentre, puntuale alle sette e trenta, usciva di casa per recarsi in ufficio.

Prima sosta, al bar sotto casa per la seconda colazione della mattina, dopo quella preparata accuratamente appena alzato .

"Caffè macchiato per il dottore," strilla Beppe, il barista, non appena lo scorge ancor in strada: "Buongiorno dotto’."

"Buongiorno, tutto bene?… novità? " era la solita risposta di Alberto Carlo.

"Tutto bene… veramente, ha saputo? Ier sera hanno trovato morto Giacomino, l’ubriacone, il barbone che si fermava sempre qua davanti. Gli eravamo affezionati… in verità gli s’era affezionata più mi madre , l’aveva pure mannato a sentì la messa dei malati a Sant’Ignazio perché je passasse l’arcolismo… e s’era sentito mejo! Sto mese, però, nun c’era annato…"

"Che dire? Doveva succedere. Pace all’anima sua. Sarà poi morto perché non è andato alla messa?"

"E certo!" interviene Lella, la madre di Beppe "Senza l’aiuto de Dio, nun ce l’ha fatta. Era un brav’omo, nonostante tutto, pulito, onesto ed anche corto. M’aveva puro scritto na poesia. Inzomma, era uno che se faceva vole’ bene, uno che se fa ricorda’."

Parole che, quella mattina, risuonarono in tono con i pensieri di Alberto Carlo.

Mentre si avviava in ufficio, continuava a rimuginare quale fosse in ultima analisi la ragione per cui quell’uomo meritasse di essere ricordato. Era sufficiente l’essere stato un brav’uomo?

Automaticamente comprò il giornale, prese l’autobus, raggiunse e salì i gradini d’ingresso dell’ufficio.

"Buongiorno, dottore" lo salutò, alle otto e tre minuti, Massimo, la guardia giurata che presidiava l’ingresso, tutta intenta come al solito a leggere il quotidiano sportivo appena acquistato.

"Ha visto ieri sera la partita?" Senza aspettare la risposta, che sapeva negativa: " Rolando ha fatto un gol eccezionale. Partendo dal centrocampo ha dribblato tre giocatori, ha alzato il pallone per scavalcare il portiere uscito dall’area ed ha segnato di testa. Altro che Maradona, quello è il mejo! L’unico che verrà ricordato de sto campionato!"

"E due", pensò fra sé Alberto Carlo, mentre imboccava la porta dell’ascensore.

L’agenda degli impegni presi e delle cose ancora da definire lo immerse subito in altre faccende. Prima dell’arrivo del resto del personale, finché c’era quiete, conveniva rileggere l’offerta da inviare entro le dieci,.

Le correzioni fortunatamente furono poche e, mentre il computer procedeva alla ristampa del documento, c’era tempo per dare una rapida scorsa al giornale.

La lettura seguiva sempre il solito iter: una occhiata agli avvenimenti politici, l’articolo di fondo sull’attualità, se era firmato da uno dei due o tre commentatori graditi, i titoli delle pagine economiche, poi: le pagine culturali, le più attese perché spesso foriere di idee o conoscenze intriganti.

Con dovizie di particolari quel giorno era riportata la scoperta di un gruppo di archeologi che identificavano il primo sito religioso dell’homo sapiens in una opera muraria rettangolare con all’interno sculture antropomorfe in granito nero. Il commentatore dichiarava che la scoperta ed anche il procedimento e le tecniche usate per la datazione avrebbero assicurato sicuramente agli studiosi notorietà perenne nella storia dell’archeologia, ponendo anche un seria ipoteca sul Nobel.

"E tre." Alberto Carlo stava per iniziare una riflessione più accurata sulla questione quando un rapido bussare preannunciò l’apertura della porta.

"Ciao, sei pronto per un caffè?" Era Giorgio, arrivato in quel momento.

Il lungo tragitto in treno, casa ufficio, gli permetteva ampiamente di leggere il quotidiano, sicuramente tutti i commenti politici e sociali. Su questi era pronto a discutere, accollandosi anche il compito di riassumerli esaustivamente.

Il tempo di varcare la soglia della stanza e, difatti:

"Hai letto il pezzo di Repubblica, in terza pagina, sugli ideali deboli?" Senza attendere risposta: "Sostiene che gli ideali forti sono presenti solo in momenti difficili: economici, sociali o politici che siano. Oggi, non ci possono essere che ideali deboli, ideali che riguardano più il privato che il pubblico." Una breve pausa. "Non solo i leader politici, ma anche gli intellettuali sembrano oggi pensare più al loro successo che al successo delle loro idee. Di uomini, che passeranno alla storia per una vita d’ideali, penso a Gramsci, ma anche ad Amendola ad Ingrao, non se ne vedono più."

Svelava così, ancora una volta, la sua fede politica e riportava Alberto Carlo per la quarta volta, quella mattina, al tema della memoria di sé.

Il caffè bruciato ed acre del bar di fronte fu ingurgitato d’un sorso, più per abitudine che per piacere. Per il resto della mattina si trascinò tra riunioni inconcludenti e telefonate non programmate. Presto, così, fu l’una.

Alberto Carlo era solito pranzare in compagnia. Era un modo per rimarcare l’importanza ed il piacere del momento. Quel giorno si accodò al suo solito gruppo Maria, una segretaria dell’ufficio acquisti. La sua voce stridente la caratterizzava più delle sue capacità operative. Era però solitamente una persona allegra, ma fu subito chiaro che era una giornata no.

Durante tutto il pranzo non le uscì una parola di bocca. Al rientro in ufficio, dopo il terzo caffè della giornata, preso al bar napoletano, Maria gli si accostò e lo pregò di dedicarle cinque minuti.

"Dottore, mi deve aiutare a trovare un altro posto di lavoro." esordì.

"Hai dei problemi …in ufficio?"

"No, no; ho problemi personali. Vorrei trovare, se possibile, un lavoro fuori Roma."

"Non è una cosa facile; si può forse provare a sentire qualcuno dei nostri clienti, se sta assumendo in sedi periferiche. Se mi dai qualche cenno in più, forse potremmo insieme trovare altre soluzioni"

"No...no. Mi scusi, ma non ho voglia di parlare. Comunque se mi trovasse qualcosa da fare fuori Roma le sarei davvero grata." Così dicendo, uscì dalla stanza.

Alberto Carlo, curioso per natura di tutto, ma in particolare di ciò che riguardava i rapporti delle persone a lui vicine, sapeva come avere più informazioni.

Decise di modificare la sua agenda, chiamò al telefono Giorgio, lo pregò di raggiungerlo e, senza preamboli:

"Che è successo a Maria?"

"Ho sentito che il suo uomo l’ha lasciata. Sembra ne fosse realmente cotta. Dicono che è persa nei suoi pensieri, assente per tutto il resto. Ha detto alla sua collega di stanza che, comunque vada la sua vita, lo porterà con sé per l’eternità" Concludendo la frase, il volto di Giorgio evidenziava una smorfia, a metà strada tra la commiserazione e la derisione.

Alberto Carlo, invece, prese questo avvenimento come la quinta volta nella giornata che ritornava il tema della memoria ai posteri.

L’appuntamento delle quindici era con la Know-how spa, uno dei clienti più importanti dell’ufficio. Si doveva discutere il consuntivo trimestrale delle attività e programmare quelle del trimestre successivo.

Tutto procedette secondo l’ordine del giorno. Arrivati a fine riunioni Tribalzi, il direttore commerciale della Know-how spa, così concluse:

"Dimenticavo dottore, mi deve fare un favore; mi deve aiutare ad organizzare l’incontro annuale con la nostra forza vendita. Ho bisogno di un personaggio di prestigio che possa tenere la relazione introduttiva. Penso a un guru internazionale, che ci relazioni sullo scenario del nostro settore per i prossimi tre cinque anni e ci aiuti a capire il know-how necessario: a un futurologo alla Naisbitt. Vorrei una relazione che non si dimentichi, che passi alla storia della società. Ci pensi, mi raccomando, e mi faccia sapere"

Se non fosse stato divertito dalla richiesta, la ricerca di know-how da parte della Know-how spa, Alberto Carlo si sarebbe soffermato di più sulla sesta ricorrenza: invece, un semplice "Ci risiamo" fra sé e sé. I saluti di convenienza, affrettati per l’approssimarsi dell’ora di chiusura dell’ufficio, lo distrassero momentaneamente.

Per quel giorno aveva così terminato gli impegni, si poteva concedere, piacere sempre più raro, il rientro a casa a piedi, percorrendo lentamente i vicoli del centro.

Passo dopo passo si approssimò al portone di casa senza badare a nulla durante il tragitto.

Lo destò dai suoi pensieri una anziana e distinta signora. Seduta sul proteggi angolo di pietra di un palazzo di via Santo Stefano del Cacco, quella figura nota tendeva le mani, muta e innaturalmente supplicante.

Da sempre ad Alberto Carlo quella signora metteva una profonda tristezza. Non appena la scorgeva, frugava istintivamente le tasche a raccogliere tutte le monete che aveva per deporle, quasi scusandosi, nella mano scarnita. Non ricordava di aver mai sentito la voce di lei. Quella sera, invece, una voce fioca:

"Grazie, signore. La ricordo e la ricorderò" seguito da un più evanescente "sempre."

Quelle parole sommate agli eventi di tutta la giornata ebbero un effetto dirompente e del tutto inusuale. Senza sapere neanche il perché, Alberto Carlo scoppiò in un pianto profondo, assoluto.

L’impulso a frenare il pianto fu immediato, così come la reazione di incredulità. Era impensabile per lui farsi scorgere in uno stato così poco composto.

Ma in quello stato ed immerso in quei pensieri varcò la soglia di casa.

Solo più tardi avrebbe concluso che era arrivato il momento di affrontare seriamente l’argomento. Non aveva idea però da dove cominciare.

La cena, avendo tardato in strada, era già a tavola. Passò rapidamente da un piatto all’altro senza dar troppo retta, né ai racconti degli avvenimenti della giornata della moglie e del figlio, né a quanto il telegiornale di catastrofico stava trasmettendo.

Non completò neppure la porzione abbondante di torta di riso, né la accompagnò con il solito sorso di vino alle mandorle ghiacciato, il suo preferito.

Spedito, si avviò verso la camera da letto.

In quelle ambasce, nulla di meglio, a parer suo, di una bella dormita. Fortunatamente, per la mattina successiva, sabato, non erano previsti impegni importanti.

Come tutte le sere, più per abitudine che per interesse, non appena entrato in camera accese il televisore posto sulla cassettiera. Si spogliò, indossò rapidamente il pigiama e, senza neppure scegliere gli indumenti per il giorno seguente, operazione abituale, si coricò sul letto; era ormai convinto che i giorni successivi sarebbero stati decisivi per la sua vita futura.

RAI1 trasmetteva un programma di divulgazione scientifica. La puntata era dedicata alle potenzialità della mente. Tre scienziati asserivano che l’utilizzo o meglio lo sfruttamento medio delle risorse cerebrali era compreso tra il cinque e il dieci percento al massimo. La differenza tra le due valutazioni veniva attribuita a caratteristiche genetiche e caratteriali relative alle capacità di comunicazione e di relazione dei soggetti.

"Conosciamo abbastanza bene i meccanismi che regolano il nostro modo di rapportarci al mondo esterno mediante azioni compiute in stato cosciente. Non ci rendiamo conto invece di inviare , e forse ricevere, una infinità di messaggi in modo inconscio, non controllato. Alcuni sono inviati dal nostro corpo, dalla nostra fisicità, altri invece è la nostra mente che li invia, sia quando siamo in stato di veglia cosciente, sia quando dormiamo o siamo genericamente in stato incosciente.

Sembra esistere la possibilità di indirizzare questi messaggi cognitivi inconsci, di finalizzarli alla soluzione di quesiti insolubili in stato di veglia. Sono noti, in letteratura, casi di successo.

Non è ancora chiaro, però, se le soluzioni ottenute siano parti esclusivi della persona o frutto di relazioni e comunicazioni instauratesi in stato incosciente."

L’ascolto di questo spezzone di programma televisivo fornì ad Albero Carlo una tenue speranza sulla possibilità di risvegliarsi, la mattina seguente, con qualche idea utile ad affrontare più efficacemente il suo dilemma .

Non aveva comunque la minima idea di come procedere. Pensò di ispirarsi a quando, scolaro, doveva imparare le poesie a memoria. La poesia andava letta un paio di volte e, con quelle parole e quel ritmo in testa, ci si doveva addormentare. La questione stava dunque nell’identificare la tematica il più chiaramente possibile e lasciar fare al sonno.

Partì da quesiti del tipo "Per che cosa si è ricordati" e "C’è qualcosa, anche minima, che giustifichi il tramandare" continuò con "Val la pena, nell’agire quotidiano, di porsi il problema della memoria ai posteri" ed andò a finire con "Cosa posso fare per essere più soddisfatto di me "che gli sembrava il bandolo della matassa, o comunque un buon inizio: neppure questa formulazione per la verità lo soddisfaceva completamente.

Comunque in compagnia di quest’ultima di addormentò.



1.

Da tanto tempo non sognava suo padre, morto vari anni addietro.

Insieme a lui, bambino di circa dieci anni, sta percorrendo una lunga strada di campagna ben ombreggiata da due file di tigli in fiore. L’aroma di questi è così forte da coprire totalmente il profumo dell’acqua di colonia del padre, che Alberto Carlo ricorda e si sforza di riannusare.

Segue, a pochi passi di distanza, il padre, che cammina in fretta, come abbia un appuntamento da rispettare. La strada sembra non finire mai. In cuor suo, Alberto Carlo continua a chiedersi dove e quale sia la meta.

Finalmente, all’apparire di un cancello verde sul bordo sinistro della strada, il padre si ferma. Afferra il filo del vecchio campanello a molla e lo tira più volte. L’attesa è breve.

Un piccola, vecchia signora, avvolta in un ampio scialle celeste col sole e la luna ricamati nel retro, viene ad aprire. Saluta con un bacio sulla guancia il padre e con un buffetto Alberto Carlo. Senza fiatare li introduce in un ampio salone, già pieno di persone vocianti.

Dalle due finestre opposte filtra una luce multicolore; suoni paesani di fisarmonica e chitarra arrivano dall’aia sottostante; un forte odore di spezie proviene da un lungo tavolo fratino colmo di pietanze. Una sensazione di serenità pervade tutto l’ambiente.

Quel luogo ad Alberto Carlo sembra familiare, pur non ricordandosi quando e se ci sia già stato. Osserva i cibi: sono proprio quelli che preferisce da sempre, anche il loro sapore gli sembra già noto, al solo sguardo.

Gli astanti sono tutti intenti a mangiare: l’uno imboccando l’altro, quasi in un gran gioco di società.

Non sa resistere. Anche lui dà inizio alla degustazione di quei piatti succulenti.

A un tratto i sedili e le poltrone della stanza attirano la sua attenzione: non riesce a capire cosa li ricopra. Si direbbe un panno di batuffolo di cotone, quasi uno strato di nuvola sottile. Incuriosito, si avvicina per toccarlo. La sensazione che il suo palmo ottiene è straordinaria: quella di divinamente morbido, di una consistenza inconsistente a lui già piacevolmente nota.

Tutto continua a sembrargli familiare. Il susseguirsi di immagini e di sensazioni è talmente rapido ed intenso però da non consentire un sereno e puntuale ricordo. La cosa certa è che si trova immerso in un ambiente che impegna completamente e contemporaneamente tutte le sue capacità sensoriali.

E’ tanto preso che non avverte l’avvicinarsi della piccola, vecchia signora; con fare dolce lo prende per mano e lo conduce in cucina: una di quelle grandi cucine dei casolari di campagna, piene di strumenti e di ricordi del passato.

Si ferma davanti ad una piastrella appesa al muro, ormai sbiadita. La indica con il dito proteso lentamente

Alberto Carlo si avvicina. Una scritta corsiva, gialla su fondo blu, riporta:

RICORDATI DI

RIFLETTERE

SULL’USO DEI

SETTE SENSI

Seichoji, XIII sec.- anonimo

La legge, la rilegge, poi si volta… per chiedere spiegazioni. La vecchia signora non c’è più; al suo posto c’è il padre.

Facendo precedere le sue parole da un raro sorriso, forse di complicità:

"E’ tutto!" sussurra "Ora possiamo andare." Poi, vedendo il volto sconcertato del figlio aggiunge "Nella vita, ricordati, e’ sempre bene cercare ed ascoltare chi sa."

Con queste parole il sogno, purtroppo, improvvisamente ebbe fine. Con esse coincise anche il risveglio di Alberto Carlo. Immediata, quasi istintiva la reazione. Afferrò il taccuino, che teneva abitualmente sul comodino, e riportò esattamente l’iscrizione, per timore di non rammentarla correttamente.

Poi lentamente si alzò. Nel mentre si accudiva al bagno, si vestiva e faceva la solita abbondante colazione, quella frase continuava ad occupare la sua mente.

Era effettivamente la risposta al quesito della sera precedente ? E se lo era, come era avvenuta la connessione ? E ancora, quali erano i sette sensi ?

La decisione fu pronta; avrebbe dedicato la mattina a cercare qualche prima risposta.

Ma…da dove cominciare ? Gli sembrò saggio partire da quel nome, che non aveva mai udito prima, ‘Seichoji’.

L’enciclopedia di casa non lo riportava. Pensò allora di affidarsi ad Internet. Ma neppure qui, forse a causa della sua scarsa abilità a colloquiare con i motori di ricerca, trovò la risposta.

Decise allora di procedere col metodo che aveva sperimentato, in tanti casi, essere il migliore. Uscì e si recò nell’ampia libreria Feltrinelli sotto casa. Lì avrebbe consultato tutti i dizionari e le enciclopedie tematiche e, se non fosse stato sufficiente, avrebbe cercato nei testi che più avessero attirato la sua attenzione, procedendo casualmente. Ultima chance: la richiesta di informazioni ai commessi, talvolta la più fruttuosa.

La ricerca fu lunga, passando dalla geografia all’archeologia e dalla filosofia alla letteratura. L’enciclopedia delle religioni risolse infine il quesito.

"Seichoji, tempio buddista nella provincia di Awa in Giappone; la sua fama è dovuta alla permanenza presso di esso di Nichiren Daishonin, teorico del buddismo moderno, vissuto nel mille e duecento."

"E’ dunque in Nichiren Daishonin la spiegazione dello scritto." Pensò allora Alberto Carlo.

La sua educazione era stata cattolica ed anche la sua ‘forma mentis’ lo era.

Da sempre aveva avuto un’attrazione culturale verso le altre religioni, ma le sue lacune erano rimaste ampie: ne era conscio.

Andò in cerca di testi sul Buddismo, come religione e come filosofia. Rovistò e rovistò.

Finalmente trovò un testo di sua soddisfazione: un testo divulgativo sulla filosofia buddista.

Nichiren Daishonin era presentato come il fondatore del vero buddismo, colui che individuò nel ‘Nam myoho renge kyo’, titolo del Sutra del Loto, una delle essenze della vita. Il senso di quella dicitura era spiegata come l’attuazione globale del principio di causa ed effetto ovvero come la possibilità, tramite la volontà, di determinare il proprio futuro. Le possibilità di azione ,era inoltre spiegato, riguardavano il livello conscio ed inconscio.

Ma la scoperta più interessante fu che Nichiren Daishonin trattava della purificazione dei SEI SENSI: Vista, Olfatto, Udito, Gusto, Tatto e Coscienza.

"Il sesto l’ho trovato." Pensò Alberto Carlo.

L’approssimarsi dell’ora di pranzo lo persuase, però, ad interrompere momentaneamente la ricerca ed accontentarsi di quanto scoperto.

Il pomeriggio passò, dedicato a lavori già programmati da tempo di piccola manutenzione in casa; nel frattempo la mente rimaneva sempre rivolta al settimo senso e a chi potesse aiutarlo in questa sua ricerca e travaglio.

Non se la sentì però di annullare l’invito a cena a casa di amici di cui, quella sera, avrebbe fatto volentieri a meno.

La cena, preparata per dieci commensali, risultò ottima.

Mentre si apprestava a prendere per la seconda volta gli involtini di pesce spada alla tunisina, non seppe trattenersi dal rendere fruttuosa anche quella occasione:

"Qualcuno di voi, mi sa elencare i sette sensi?"

Nel silenzio non interessato degli altri o più appropriatamente nel totale disinteresse per l’argomento, Laura, la biologa, intervenne:

"Perché sette? Sono molti di più."

Alberto Carlo, che, fino alla sera prima, era convinto che non si potesse andare oltre i cinque, acuì l’attenzione.

"Solo la tradizione aristotelica contempla i cinque sensi. In realtà oggi sappiamo che le sensazioni che il nostro organismo è in grado di recepire e gestire possono essere variamente classificate. Ci sono le sensazioni visive, le acustiche, le olfattive, quelle di caldo e freddo, di pressione, piacere, dolore ; e poi ancora le organiche di tipo cinestetico e statico e tra le cinestetiche: le muscolari, le articolari ,le tendinee ,le ossee…"Laura continuava ma Alberto Carlo non la seguiva più. Era chiaro che non stava contribuendo alla risposta del suo quesito.

Per il resto della serata, non fu all’altezza della sua solita affabilità.

All’avvicinarsi della mezzanotte, adducendo la scusa della stanchezza per i lavori eseguiti nel pomeriggio, si congedò e si avviò verso casa. Strada facendo continuava a ripensare alla lunga elencazione di Laura. Una riflessione gli dette la fugace impressione di un lampo di luce nell’oscurità:

"Tutti i sensi servono per metterci in relazione con il mondo circostante, per conoscere e conoscerci meglio." Al momento gli sembrò un risultato entusiasmante; subito dopo, riflettendo, una vera banalità. Eppure vi aveva intravisto, ed in qualche forma c’era, qualcosa di importante.

Quella sera, una volta rientrato in casa, fu ancora più veloce del solito a conquistare il letto.

Anche se dubbioso, sul risultato che avrebbe ottenuto, volle riprovare a porsi un quesito prima di addormentarsi.

Decise di provare a ripercorrere le esperienze fatte e collegarle alla riflessione, che tanto gli era stata raccomandata, sui sensi. Pensò che sarebbe stato meglio esplorare un senso per volta.

Più o meno la domanda poteva essere così formulata: "Cosa ancora non ho razionalizzato sull’uso della vista ?" Così formulata, la domanda non sapeva se definirla sciocca o mal posta; comunque, in sua compagnia, prese sonno.

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